In quest’articolo vi parleremo di un attaccante splendente in tutta la sua eleganza, bello, agile, rivoluzionario e maledettamente moderno: “El niño” Torres, sempre giovane, sempre attuale. Lo spagnolo è stato sin dal principio un giocatore particolare, fenomenale e dotato di qualità assurde che magari, ogni tanto, non è riuscito a sfruttare. Scopriamo insieme la storia di uno degli attaccanti spagnoli più forti di sempre.
– Il soprannome e l’inizio di tutto
Partiamo dal soprannome: “El niño“, in italiano “il bambino”, certamente riprende i tratti somatici molto giovanili del numero nove oltre che la sua precocità ma di questo parleremo più avanti.
Torniamo a quando Fernando è davvero un bambino in quel di Fuenlabrada, provincia di Madrid. Quella dei Torres è una famiglia che fa fatica ad andare avanti a causa delle tante difficoltà economiche e dei cinque figli da mantenere di cui il giocatore è il quarto. Per sua fortuna l’attaccante ha un fratello maggiore che gioca nella squadra locale come portiere e che, per allenarsi, gli chiede di calciargli il pallone facendo inconsapevolmente innamorare il fratellino di questo gioco. È l’inizio della nostra storia: all’età di dieci anni il giocatore si unisce alla squadra del Rayo 13.
A Fuenlabrada tutti tifano e venerano il Real dei Galacticos ma Fernando, prendendo spunto dal nonno materno, decide di andare contro corrente e coltivare la passione per l’Atletico. Una scelta semplice ma al contempo stesso anche rivoluzionaria che segnerà per sempre la strada del giovane. L’attaccante è molto legato alla sua famiglia ed ai suoi genitori in particolare poiché si sacrificano molto per portarlo in giro per tutta la Spagna a giocare. A scuola Torres non eccelle ma risulta dotato di un grandissimo intuito, altra caratteristica che lo contraddistinguerà poi sul prato verde: la sua rapidità di pensiero sarà fondamentale per fare giocate fuori dal comune. Oltre a questo molti lo descrivono come un ragazzo molto amichevole e sempre pronto ad aiutare gli altri.
– Il legame di Torres con l’Atletico Madrid
Dicevamo che la scelta di tifare per l’altra squadra di Madrid, l’Atletico Madrid, avrebbe trovato più in là riscontro e così avviene: dopo aver sostenuto un provino il giocatore entra a far parte delle giovanili del team bianco-rosso. Nel 2001, a soli diciassette anni, l’iberico diventa il più giovane esordiente della storia dell’Atletico Madrid e viene anche inserito dalla rivista spagnola Don Balòn nella lista dei dieci giovani più promettenti del pianeta. Segna il suo primo gol contro l’Albacete esattamente una settimana dopo il suo esordio e l’anno dopo, ottenuta la promozione nel massimo campionato spagnolo, gioca titolare in Liga. Nella stagione 2003-2004, a diciannove anni, diventa il capitano più giovane della storia dei “Rojiblancos“.
Ormai, dalla parte colchonera di Madrid si parla solo di lui: è un predestinato a tutti gli effetti: per quattro anni consecutivi, dal 2003 al 2007, è il miglior cannoniere della sua squadra madrilena, un titolo che non gli porta nessun trofeo ma che però gli fa guadagnare la chiamata di una maglia prestigiosa: il Liverpool.
– L’approdo ad Anfield
Nella stagione 2007/2008, tra le fila dei Reds, Fernando Torres stacca il primo biglietto europeo della sua carriera: esordisce nei preliminari di Champions contro il Tolosa e segna la sua prima rete europea contro il Porto nel Novembre del 2007. Dopo aver umiliato alcuni record detenuti da giocatori di altissima caratura come Ruud Van Nistelrooij e Michael Owen viene incoronato come miglior giocatore della Premier League ed il tutto solo alla sua prima stagione nella massima serie inglese. La vittoria dell’Europeo 2008 con la Spagna gli consente, inoltre, di piazzarsi al terzo posto nella classifica del Pallone d’Oro.
Nel 2009 lo spagnolo raggiunge quota cinquanta reti in solo settantadue partite e viene inserito nella lista dei cinquanta migliori giocatori della storia in maglia Reds nonostante sia a Liverpool solo da un anno e mezzo. È di certo il miglior periodo nella prima decade degli anni duemila per l’attaccante e per gli inglesi: tutti gli appassionati rimangono estasiati dal gioco della squadra e soprattutto dal formidabile tandem d’attacco composto da un bucaniere come l’olandese Dirk Kuijt e, per l’appunto, dallo splendido Niño Torres. A fine anno l’attaccante, sebbene accusi due infortuni che lo costringono a saltare di fatto quindici partite, risulta comunque il miglior marcatore del team con ventidue reti.
– I “Blues“
Nell’ultimo giorno del mercato invernale del 2011 c’è la fumata bianca per il suo passaggio al Chelsea per la cifra record in Premier di 58,5 milioni di euro. A Londra però le cose non vanno bene per l’iberico che sembra non trovarsi a suo agio. Nonostante nelle sue prime due stagioni segni con il contagocce la punta realizza il pesantissimo gol nei minuti di recupero della semifinale di Champions del 2012 che si rivela decisivo per l’accesso alla finale poi vinta dal Chelsea sotto la guida di Di Matteo.
I due anni seguenti non sono particolarmente felici per Fernando che viene spesso relegato in panchina ma quando gioca sa come far male: sarà sua infatti la rete che aprirà le marcature ai danni del Benfica nella finale di Europa League vinta nel 2013. In seguito alla vittoria del trofeo lo spagnolo diventa, insieme a Juan Mata, uno dei pochi giocatori capaci di vincere Mondiale, Europeo, Champions ed Europa League ed esserne campioni in carica.
Il resoconto dell’esperienza londinese del numero 9 è tutto sommato buono: 45 gol in 172 presenze, FA Cup, Champions League ed Europa League sono il bottino del Niño al Chelsea.
– Una breve tappa sotto la Madonnina
Dopo l’agrodolce esperienza in maglia Blues nell’estate del 2014 Torres decide che è arrivato il momento di cambiare non solo casacca ma proprio collocazione geografica e passa al Milan in prestito per due anni con l’opzione di un terzo anno.
A partire dall’addio di Filippo Inzaghi inizia a diffondersi in casa rossonera la voce di una maledizione riguardante la maglia numero nove scelta dall’attaccante. Maledizione che in un primo momento sembra non scalfire Torres che, alla prima presenza da titolare nel settembre 2014, trova il primo gol con il sodalizio di Via Aldo Rossi. Da questo momento in poi, però, sarà un calvario enorme per l’attaccante finché El Niño viene ceduto, per mezzo di uno scambio con Alessio Cerci, all’Atletico Madrid chiudendo l’esperienza in rossonero con dieci presenze ed un gol. Se l’esperienza al Chelsea era stata altalenante questa a Milano è stata un vero e proprio incubo senza fine.
Un vero peccato perché quando Torres è giunto in Italia, per di più al mio Milan, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime dalla felicità. Era l’occasione perfetta per vedere il mio campione in opera nella mia squadra del cuore ma purtroppo è stato solo una meteora.
– Ritorno a casa
Allo stadio Vicénte Calderòn, a casa sua, ci sono 45000 spettatori pronti a riaccogliere el Niño de Fuenlabrada a braccia aperte. Questo numero è indicativo per far capire quanto il suo popolo tenga a lui. Il sei febbraio 2016 avviene uno dei momenti più magici della carriera del niño: le cento reti in maglia blaquirroja. A fine partita, mentre esce dagli applausi, il giocatore regala la maglia celebrativa all’allenatore che l’ha scoperto e che per primo puntando più di tutti su di lui per poi commentare ai microfoni:
Sono cresciuto qui, in questo stadio. Come tutti i tifosi venivo a vedere le partite in tribuna. Questo giorno rimarrà nella storia e non potrò mai dimenticarlo
A Madrid l’attaccante sembra rinato, dal suo ritorno riesce a centrare numerosi obiettivi come quello delle 400 presenze con la casacca dell’Atletico oppure i 129 gol realizzati in maglia colchonera (che lo rendono il quinto miglior marcatore della storia del Club) e sfiora la conquista della Champions League perdendo ai rigori contro i rivali del Real Madrid, sì, ancora loro. Nel 2018 riuscirà a vincere anche un’altra Europa League con la sua squadra del cuore e, solo quattro giorni dopo (il 20 maggio) annuncerà l’addio, questa volta definitivo e inderogabile, al suo popolo e alla sua squadra del cuore.
– L’esperienza nipponica ed il ritiro
Il giocatore decide di intraprendere un’esperienza in Giappone seguendo le orme dei grandi connazionali Iniesta e David Villa. L’avventura nipponica al Sagan Tosu durerà solo due stagioni, al termine delle quali deciderà di ritirarsi. Il destino vuole che l’addio avvenga proprio contro la squadra dei sue due amici, il Vissel Kobe. Un addio senza troppi rimpianti, lontano dagli accecanti riflettori dell’Europa. Finisce così, forse in modo un po’ malinconico, la carriera calcistica di uno degli attaccanti spagnoli più forti di sempre.
In seguito, in un’intervista rilasciata a Tokyo, Torres dirà che nel suo futuro c’è l’Atletico ma vuole studiare e formarsi per svolgere un nuovo ruolo (probabilmente nella dirigenza) per aiutare concretamente la squadra che lo ha lanciato e di cui è follemente innamorato.
– Nazionale
La storia dell’attaccante con la selezione spagnola è una delle più epiche: Fernando Torres ha contribuito infatti al ciclo delle “Furie Rosse” che le ha viste dominare in Europa e nel mondo per circa cinque anni. Nel quinquennio previa citato la nazionale iberica ha vinto tutto: due Europei e un Mondiale ma procediamo con calma.
Il giocatore debutta in maglia Roja il sei settembre 2003 e sigla la prima marcatura quasi un anno dopo contro l’Italia. Viene convocato per l’Europeo seguente e gioca alcuni spezzoni di partita prima di essere eliminato dal Portogallo mentre nel Mondiale 2006 segna tre reti in quattro partite anche se non basteranno alla sua squadra per continuare il cammino.
La svolta avviene ad Euro 2008: sfruttando il nuovo stile di gioco del Barcellona targato Guardiola, il CT spagnolo Luis Aragones ha un’idea geniale. Visto che gran parte dei suoi giocatori provengono dai blau-grana e si sono già abituati al modo di giocare in Catalunya decide di voler improntare il famoso tiki taka anche sulla nazionale ma di renderlo più pericoloso grazie alle verticalizzazioni per gli attaccanti. La mossa funziona: la Spagna domina la competizione e porta a casa la seconda coppa europea della sua storia.
Nel 2009 ad Aragones succede in panchina Vicente Del Bosque, mister navigato che ha allenato, tra gli altri, proprio il Real dei Galacticos. La Confederation Cup non va benissimo per la squadra iberica ma Torres è il secondo capocannoniere del torneo insieme a David Villa.
L’impresa avviene al Mondiale successivo, quello del 2010: si è sempre detto che la Spagna è “una squadra bella ma non vince” ma questa volta la diceria si rivela del tutto errata. La selezione in maglia rossa è un rullo compressore che schiera come tandem d’attacco Villa ed il solito Fernando Torres: prima distrugge il girone di appartenenza per poi eliminare il Portogallo di Cristiano Ronaldo e la Germania di Klose. In finale gli spagnoli incontrano l’altra grande squadra della competizione giocata in Sudafrica: l’Olanda. La partita è molto tesa e tirata fino a quando, al 116° minuto, Andres Iniesta trafigge Stekelenburg con un gol che sa di prima vittoria in campo mondiale per la Spagna.
Euro 2012 rappresenterà per Torres la definitiva consacrazione, la Spagna vince ancora la competizione con l’attaccante che nella finale, vinta per 4-0, sarà uno dei mattatori dell’Italia. Oltre al secondo Europeo in carriera il numero nove spagnolo si porta a casa anche il titolo di capocannoniere del torneo a pari merito con Balotelli, Cristiano Ronaldo, Mandzukic, Gomez e Dzagoev. Nella Confederation Cup il giocatore continua a brillare e conquista la scarpa d’oro per aver effettuato il maggior numero di gol e assist nel minor tempo.
Nel 2013 inizia il declino degli spagnoli e di Torres stesso che segna l’ultimo gol in nazionale nel 3-0 ai danni dell’Australia al Mondiale 2014 con entrambe le squadre già eliminate ai gironi. Dopo l’uscita nella prima fase del torneo, l’iberico decide che è il momento di dare l’addio alla gloriosa maglia Roja ancora una volta insieme a David Villa.
– Curiosità su “El Niño” Torres
Dopo un digiuno da gol durato ben 903 minuti, ha deciso di rivolgersi a Dio per mezzo del suo compagno di squadra David Luiz. Proprio nel match successivo Torres si è sbloccato segnando una rete al West Ham. Ama cucinare, viaggiare e guardare film e, a proposito di questo, in un’intervista rilasciata per un’importante testata giornalistica inglese dirà: “la vita è un film meraviglioso”. Proprio per questa sua passione ha partecipato come comparsa nel film Torrente 3: El Protector.
I suoi tre tatuaggi simboleggiano la data di fidanzamento con la moglie Olalla (conosciuta in vacanza all’età di solo otto anni), il numero 9 (cioè quello della sua maglia) ed il suo nome in Tengwar, un linguaggio artificiale. L’ex-giocatore è inoltre un grande fan dei videogiochi e nella sua villa a Liverpool aveva fatto costruire tre sale apposta.
Devo dirvi la verità, mi ha fatto molto piacere raccontare la storia di questo magnifico attaccante che mi ha portato ad amare il gioco che ci riunisce tutti. Nonostante in Italia ai tempi avessimo dei grandissimi giocatori e delle grandissime bandiere, era la prima volta che mi innamoravo così di un giocatore. Vederlo vagare per il campo e vederlo segnare una raffica infinita di gol mi ha fatto appassionare sempre di più al calcio.
Io ho sempre vissuto in un appartamento di ottanta metri quadri a Fuenlabrada. Ora è diverso però l’essenza è la stessa: so bene cos’è importante e cosa no. So da dove vengo: sono di un quartiere del sud, operaio.